Pare incredibile che anche una piccola cosa come la recensione di un libro possa essere uno strumento per divagare la mente dalle drammatiche vicende che stiamo vivendo. Infatti tutti ci prodighiamo con letteratura-musica-arte-fiori che esplodono in questa primavera beffarda per non pensare a ciò che accade.
Il libro di cui vi voglio parlare oggi è “Sunset Park” di Paul Auster, che mi sembra quanto mai adatto al momento, perché si sofferma insistentemente sulla subitaneità degli eventi, che da un secondo all’altro possono capovolgere la nostra vita.
Ma andiamo con ordine. Di Paul Auster mi pare che non sia il caso di spiegare chi sia, no? Tutti abbiamo amato la Trilogia di New York, Moon Palace, L’invenzione della solitudine, il poderoso 4321, per citarne soltanto alcuni. E’ uno dei grandi del Pensiero Americano.
Qui, in Sunset Park inizialmente ci si muove cauti perché dà l’impressione di essere un’operina minore, ma invece poi lievita con grandi colpi di scena, il primo dei quali rientra proprio nella casistica di cui sopra: due fratellastri che litigano, uno spintone di Miles che fa cadere Bobby sulla strada, una macchina che sbuca a velocità eccessiva da dietro la curva e Bobby che muore, congelando la vita di Miles in una auto-espiazione infinita.
Più o meno comincia così il libro e Miles, il grande protagonista, è un giovane brillante, che pianta il college ed inizia il suo percorso di autoflagellazione scomparendo dalla famiglia e dal suo mondo dorato e iniziando un degrado lento e progressivo, facendo lavoretti di una modestia incredibile come il trashing – out, che poi sarebbe lo sgombero delle case degli sfrattati, nel bel mezzo di una crisi che ha vessato gli Usa in modo indelebile: Miles è un ragazzo geniale e coltissimo, buono e era inconsolabile. Poi un giorno, su un prato, mentre sta rileggendo il Grande Gatsby, vede a pochi metri da lui una ragazza con lo stesso libro.
Basta, è come un clik sul desktop: si apre una finestra, poi un’altra ancora, poi un’altra ancora e la storia come un fuoco artificiale prende mille direzioni. La folgorazione fra i due rimette nell’animo di Miles la voglia di vivere, così, dalla Florida, per lasciare passare qualche tempo finché Pilar diventi maggiorenne, torna nella Grande Mela, dove scopriamo una serie di personaggi indimenticabili – Bing, Alice, Ellen- e sembra quasi che Auster sia davanti a un pezzo informe di marmo con lo scalpello in mano e a piccoli colpi dia forma a uomini e donne così particolari e interessanti da meritare davvero un posto fra personaggi più riusciti della sua grande produzione.
Va aggiunto che nella sua fuga Miles, figlio di genitori separati, (la madre una celebre attrice, il padre un editore) viveva col padre e la nuova moglie, madre del suo fratellastro morto, ed avendo captato un discorso fra loro, – ricorda niente?- si era sentito così mortificato da gettare la spugna e sparire. Ora Miles, tornato a casa vuole ricostruire i rapporti con i suoi genitori e lo farà poco alla volta, in scene lente e profonde, in cui tutte le sottigliezze psicologiche dei rapporti genitori-figli emergeranno con autorevolezza.
Fra i molti capitoli, ognuno dedicato a un personaggio, io ho trovato splendido quello dedicato al padre Morris, l’editore, di cui voglio riportare un paio di periodi, che sono utili al nostro ragionamento: si parla di come far passare il tempo e Auster dice…. “Concentrarsi sulle parole, guardare un film in televisione, l’unico sedativo su cui si può contare sempre, il barbaglio rassicurante delle immagini, delle voci, della musica, il richiamo delle storie, sempre le storie, migliaia di storie, i milioni di storie, eppure nessuno è mai stanco, c’è sempre posto nel cervello per un’altra storia, per un altro libro, …”” Ecco quello che volevo sottolineare è la nostra perpetua avidità di storie, del narrare nostro ed altrui, che riempie la vita, il cui vuoto adesso ci sforziamo di riempire con i nostri messaggi infiniti, con i nostri video, la nostra musica, le nostre immagini. Le storie, sempre.
Ebbene, sto per finire. Nella casa di Sunset Park sono in quattro Miles, Bing, Alice ed Ellen, e mentre ormai Miles troverà modo di sanare le ferite sue e quelle dei suoi genitori in incontri memorabili, i quattro si conoscono e le loro vicende s’intrecciano anche con la visita della dolce e intelligente Pilar, che presto entrerà in un college proprio lì, nella Grande Mela. L’euforia del progetto illumina il cuore di Miles, che intuisce come tutto si stia risolvendo: ma un istante dopo qualcuno bussa alla porta, sono gli agenti che li sfrattano, a uno dei quali lui, per proteggere Alice che stanno malmenando, sferrerà un pugno micidiale, che muterà il destino di tutti. Non voglio dire di più, perché ogni pagina è un nuovo mondo, ogni parola ha un tale spessore che quel libro, iniziato in sordina, alla fine ti conquista e rientra a buon grado fra le grandi opere di Auster.
Allora leggiamo, amici miei, leggiamo le storie degli altri che spesso coincidono con le nostre, leggiamo per apprendere, per capire, per commuoverci, per aiutarci a dimenticare.
Sergio Alhadeff dice
Non posso che essere d’accordo, ho amato Auster fin da primo libro che lessi .
Non so perche’ ma ogni suo libro mi tramette le stesse senzazioni che ebbi leggendo il Giovane Holden. Strani effetti del subconscio immagino.
Sasa dice
. . . e direi anche per perdonare noi stessi e riappropriarci del nostro tempo.
Grazie Paoletta