Di recente avevamo convenuto che nel panorama letterario italiano fosse entrato a gamba tesa un drappello di “femmine” scrittrici veramente Doc: dall’elenco mancava ancora Viola Ardone e ne approfitto per colmare la lacuna. Dopo l’ottimo “ Il treno dei bambini” già prossimo a diventare serie tv, la Nardone ora pubblica “Oliva Denaro”, geniale intuizione dell’anagramma del suo nome.
“ Femmine” scrittrici???? Direte voi? Eh, sì, mi spiace, non è un refuso. Perché questo libro è un inno allo sgomento della femminilità: se in Sicilia – o in genere nel nostro Sud, un tempo- .nasce un maschio, si fanno fuochi artificiali, se nasce una femmina, ci si stringe nelle spalle, come davanti a un destino infame.
Le meno giovani di voi forse capiranno che il libro è un riferimento palese a Franca Viola che, nei famigerati Anni Sessanta, fu oggetto di un enorme scandalo, perché fu la prima donna in Italia che rifiutò il matrimonio riparatore e denunciò l’uomo che l’aveva rapita e stuprata, suscitando un vespaio senza precedenti e aprendo la strada a tutte coloro che fino allora avevano taciuto.
Ora questo libro racconta di una quindicenne che aspetta con terrore “ il marchese”, ineludibile limite di separazione fra l’infanzia e l’adolescenza, che fa scattare tutte una serie di regole che avrebbero dovuto condurre “intatta” all’altare, unica strada concessa a chi nasceva femmina.
Una serie angosciosa frasi ci aspetta fin dall’inizio: “ Siamo femmine e la vita ci si è ingarbugliata addosso»: frasi devastanti per Oliva.
Mi viene istintivo dividere il libro in tre parti, dal punto di vista linguistico, e ammirarne la stesura abilissima.
Prima a parlarci è una bimba delle elementari, buona, ubbidiente, studiosa, che ama andare con suo padre a caccia di lumache e di rane, affondando i piedi nel fango e correndo a perdifiato: poi, la linea di demarcazione del menarca segna la costrizione a stare relegata a casa, come le altre donne del paese, tra mille attenzioni, perché, come ribadisce sempre sua madre, «la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia.
Così nella seconda parte cambia anche lo stile, diventa quello ribelle dell’adolescente, che deve fare mille rinunce per mantenere integro il corpo. E’ la mia parte preferita, perché la più autentica e sincera che l’Io narrante riesca a pronunciare.
Un temperamento sensibile come Oliva non riesce a non restare turbata dalla bellezza di un giovane che la provoca, la cerca, la circuisce, sino a farla rapire e poi a stuprarla, pazzo d’amore, dice lui, sottoposto all’imperativo categorico del sesso e del cosiddetto onore.
Oliva sgrana declinazioni di latino come un mantra, per respingere le provocazioni, per sfuggire alla fascinazione, per riuscire a sopravvivere a questo cambio radicale di vita.
E infine la terza parte, quella che mi è piaciuta di meno perché la sostanzialità dell’Io viene obbligatoriamente accantonata per fare entrare in scena le disgustose leggi del Codice Penale, fatte da uomini, volute e santificate da uomini.
Ma quanta facoltà di scelta c’era negli Anni Sessanta? Forse cantare Tintarella di luna di una Mina del gennaio del‘61, forse frequentare un’amica pericolosamente comunista? Forse restare teneramente legata al padre, la cui figura, nel romanzo, è resa davvero in modo indimenticabile: giganteggia, nel centro di un affresco di paese con i suoi “ Non lo preferisco”, che fanno da contraltare ai “ Non sono favorevole al marchese” di sua figlia.
Un uomo silenzioso e forte, rispettoso del dolore di sua figlia e capace di pronunciare una frase come: « Se tu inciampi, io ti sorreggo» . Forse per offrire al lettore una magistrale figura maschile BUONA. Dopo molte esitazioni Oliva denuncia il suo stupratore, suscitando lo sconcerto e sicuramente la disapprovazione del paese. Tutti sembrano evitarla, tranne i suoi parenti e l’amica Liliana.
Intenso, crudo, feroce, addolorato, divertente, pieno di humour, in profondo contrasto con le regole del paese, il libro é una vibrante protesta e denuncia del dramma accettato e subìto da moltissime donne, ingabbiate in una mentalità secolare, di cui talvolta ancora oggi si vedono le tracce.
Ma molta strada è stata fatta in questi decenni. Moltissima strada, grazie a gente come Oliva, come Liliana, come il padre biondo con gli occhi verdi, da quando la bambina disegnava segretamente “ le divinità” del cinema dei giornaletti che le passava Liliana.
La scrittura dell’Ardone inchioda ai loro errori le violenze dei ruoli in una vita antica, semplice, contadina, scandita da leggi patriarcali e dal pudore dall’educazione cattolica, –dal rosario sgranato per ogni circostanza,- nella assolata provincia rurale siciliana, dove, ma non solo lì, il termine “femmina” non è indicativo di genere, ma di un ruolo di livello inferiore al predominio maschile. Ma in Oliva ci sono tesori di fermezza, coraggio e dignità.
In verità, qui il plurale non c’entra, questo è un testo declinato esclusivamente al singolare. Solo al singolare. E’ la storia stessa del genere femminile che lo richiede; ogni donna si salva da sola, per prima cosa. E dopo, tutte insieme.
sergio alhadeff dice
Ottimo, anche se indisponente per l’ottusità della mentalità assurda con cui abbiamo convissuto e che forse sopravvive ,purtroppo, ancora in alcune culture.
Maria Pia dice
Gran bel libro!
L’autrice scrive troppo bene!
Arriva, laddove, deve, benissimo: fluidità, forza, carattere di scrittura!
I suoi libri, personalmente, li leggo senza interruzione, tutti d’un fiato.
E, alla fine, mi commuovo, piango, piango tanto…
La lettura di Viola Ardone mi restituisce a me stessa ..
Grazieee