Non posso negare che una cenetta con Domenico Starnone e la sua signora me la farei volentieri. Pensa che profondità di argomenti, che humour, che incrociar di fioretti, che musica di lame, oltre che naturalmente che magnifica impepata di cozze.
Specie ora che “ Lacci ”, l’ultimo libro del padrone di casa, ha fatto svanire ogni minimo dubbio sull’identità di Elena Ferrante, che è Anita Raja, moglie del suddetto, autrice celebrata in tutto il mondo, le cui coordinate sono state sgarbatamente e scorrettamente rivelate da un giornalista del “ Sole 24 Ore”, che è andato a ficcanasare nel fisco della casa editrice e/o. Tuttavia, ho sempre ho pensato che ciò che veniva scritto nella tetralogia “ L’amica geniale” non poteva essere stato prodotto da mano/mente maschile.
Così come, qui, in “ Lacci “, penso che nessuna donna avrebbe potuto scrivere la prima parte, in cui Vanda, la moglie, si mortifica/umilia/disprezza/svilisce disperatamente, scendendo a livelli di autodenigrazione cui una donna non avrebbe mai potuto degradarsi, anche se sappiamo a quali gradi di ignominia può giungere ogni persona pur di non perdere il proprio amore.
Tutto ciò premesso, cominciamo col dire che avevo letto il libro alcuni mesi fa e l’ho riletto per onore di firma come Mente Aperta: il testo si divide in tre parti per raccontare come il marito Aldo si prenda una sbandata per la solita giovincella Lidia e, infischiandosene completamente di moglie e dei due bambini da essa avuti, pianta baracca e burattini e se la va a spassare con la sua bella, mentre Vanda arriva a toccare il fondo con un tentato suicidio che, al fedigrafo, non fa fare neppure una piega.
La seconda parte la sintonizziamo quattro decenni dopo, quando i due vecchi coniugi tornano a casa da una vacanza e la trovano messa a soqquadro e scempiata dai ladri. Chi conosce l’esperienza non fatica a immaginare e chi non la conosce è meglio che continui a ignorare gli stati d’animo che si vivono. Nel caos disperante è sparito pure l’amatissimo gatto Labes, che Aldo ha così battezzato, prendendo il nome da “ la-bestia”, che tuttavia in latino significa anche disastro, e dei più gravi.
La voce maschile naturalmente dice la sua e sembra un altro film. Dopotutto, dice Aldo, stavamo vivendo il Sessantotto e predicavamo l’amore libero. Tutti noi sognavamo di fare a pezzi la famiglia e vivere secondo i canoni del “ tutto e subito” e del piacere immediato. Anche se io e Vanda eravamo fra i più restii ad abbandonare i nostri principi conservatori. E poi invece, abbastanza in fretta, l’estasi procuratagli da Lidia, la giovane amante, la vince su tutto e Aldo, con dei fini ragionamenti, dimostra a se stesso che non c’è motivo per il quale dovrebbe procurarsi infelicità, quando con la sua amante è meravigliosamente felice.
A questo punto non vorrei andare oltre perché la terza parte, dove l’IO narrante sono i due figli che dicono la loro, è molto godibile e fa piazza pulita di certe lentezze delle prime due, con dei colpi di scena da maestro. Del resto Starnone ha un curriculum di tutto rispetto e non aveva certo bisogno di sgomitare per appuntarsi sul petto altre medaglie, dopo titoli di successo, come Denti, Scherzetto, Confidenza, quasi tutti diventati film.
La cena è stata una vera delizia perché mi sono trovata con due intellettuali che non se la tirano e non fanno la ruota. Tanto più colti e intelligenti da potersi permettere la discrezione e la modestia. Qui l’indagine dell’animo umano di quattro persone è sottilissima e tagliente e, senza buttare benzina sul fuoco, va dato a Starnone il merito di avere scritto un buon libro, di avere spaziato con una specie di endoscopia nel mistero di quattro opinioni diverse. Non è un escamotage innovativo, molti libri, specie negli ultimi decenni, si sono serviti di quest’ottica, ma in questo libro è senz’altro un gioco degli specchi molto efficace per scavare ancora un po’ di più nelle umane miserie, per avventurarsi più a lungo nel tortuoso sentiero dell’egoismo, che fra tutti i sentimenti umani è il più nefando.
Non solo scavare, ma anche illuminare con una raffica di led le conseguenze che gli egoismi degli altri hanno su di noi. E dunque, anche se l’incipit di Lev Tolstoi è il più celebre al mondo – e può anche dipendere dai Baci Perugina – è una verità indiscutibile che le famiglie felici siano tutte eguali e meritevoli di spot televisivi: quelle infelici però sono molto più creative nella scelta del Male da fare agli altri, ai più prossimi, intendo, perché questi dannati lacci che si annidano nel nostro dna sono praticamente inscindibili.
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