Ferrante docet. Non vi pare che da quando la grande Elena ha aperto il solco, sulla sua scia si sia inserito un vertiginoso numero di memorialisti, che – dato che in Italia si scrive più di quanto si legga – hanno prodotto fiumi di storie personali/e non, e soprattutto coppie di amiche geniali/sorelle che, sulla falsariga di Lila e Lenù, ci avvincono sino a un promettente finale aperto, che è molto simile al simbolo dell’infinito?
Con questo, non voglio in nessun modo denigrare il libro “Borgo Sud” di Donatella di Pietrantonio, anzi. Come dire che i Promessi Sposi si possono riscrivere milioni di volte e sono sempre nuovi e che ogni storia è unica e che dalle “ Mille e una notte” a Omero & Comp, sino alle magiche serie TV, è inesauribile la nostra fame di storie. Qui inoltre si presenta un caso che avevo già letto di recente e che vi segnalo: si tratta de “ L’Eccezione” di Audur Ava Olafsdottir, l’ottima scrittrice islandese – autrice di “Hotel Silence” – che racconta di una donna alla quale la notte di Capodanno, nel bel mezzo dell’aureola boreale, il marito annuncia, con ottimo tempismo, di essere gay e tanti saluti. Un caso del genere -non infrequente, ormai è cosa nota- è un doppio tradimento e una doppia lacerazione.
Anche in “Borgo Sud” succede qualcosa del genere, sebbene non sia l’asse portante del libro, che si concentra prevalentemente sul rapporto fra due sorelle, vissuto con grande melodrammaticità in ogni suo aspetto.
È doveroso precisare che questo è il seguito de “ L’arminuta” – cioè “la ritornata” in dialetto abruzzese, che narrava l’insolita vicenda di una bimba tredicenne che dopo avere passato la sua giovane vita nella bambagia, per una serie di motivi intricati, torna alla sua famiglia d’origine, povera, analfabeta, casinista, con personaggi singolari, fra cui prevale Adriana, la sorellina minore, che sarà la sua ombra. Quello che c’è sempre di molesto nell’esistenza è che i bambini crescono e la sorellina che per l’emozione si faceva la pipì a letto, diventa una scapestrata che ne inanella una dietro l’altra.
Le cui conseguenze si ripercuotono quasi sempre sulla sorella maggiore, che, al contrario di lei, è una austera prof universitaria – ricorda niente? – che ha raggiunto tutti i suoi sudati obiettivi, ma che non è mai stata capace di separarsi dalla piccola ribelle. In questo libro si fa una certa fatica a sintonizzarsi sui tre/quattro piani temporali, che l’autrice interseca molto frequentemente, senza alcun segno di separazione tra le varie epoche in cui si collocano gli episodi: e dunque in questo caleidoscopio di flash-back ci si deve barcamenare un po’ a fiuto.
Bello è lo stile della Pietrantonio, aspro ed asciutto come l’Abruzzo da cui è stata partorita, eppure la protagonista è colma d’amore ed amata infinitamente, oltre che tradita e ripetutamente convinta di non essere mai stata amata. Ma poi, basta un piccolo colpo di spatola e ti rendi conto per l’ennesima volta che ognuno ama a modo suo: che quella brusca madre è piena di tenerezza segreta, che quel marito dilaniato dal senso di colpa di non poterla amare, le riserva però una serie inesauribile di delicate premure e sensibili attenzioni, e che soprattutto Adriana non può vivere senza di lei e che tutti i suoi colpi di testa sembrano fatti ad arte per catturare il suo amore ed impedirle di allontanarsi da lei….
C’è qualcosa di nuovo che si possa dire sull’amore? Difficile. Eppure ogni frase, ogni parola che si produce hanno la magica proprietà di sembrare dette e scritte per la prima volta, perché quando si ama non c’è nulla che non ci sembri di essere stati proprio noi ad inventarle e che nessuno possa davvero avere provato prima di noi quello che stiamo provando. L’amore lo inventiamo sempre da soli.
La vicenda del libro è molto complessa ed ingarbugliata e i personaggi sono scolpiti a tutto tondo, con grande abilità e metodo scarno ed essenziale, secondo le caratteristiche peculiari della Pietrantonio. Sono parole scabre, eppure in qualche modo misterioso anche cariche di energia, come candelotti di dinamite pronti ad esplodere. In ogni pagina, apparentemente quieta sobbolle una tensione fortissima, intensa, appassionante.
Le due bambine complici e inseparabili, ora sono due donne, spesso lontane ma con un nocciolo duro di amore insopprimibile, poco capace di essere espresso. Sono loro le protagoniste del libro, gli altri sono comprimari ma tutti di un certo spessore, con il solo obiettivo di sottolineare il tumultuoso legame sororale.
Le piccole strade del borgo abruzzese, il vento, i marosi, i silenzi, i profumi, il pensiero ossessivo e martellante dell’ansia non abbandonano mai la protagonista che deve combattere con se stessa per rimettere piede in quel Borgo Sud nel quale è vissuta Adriana e che sembra la sintesi di tutto il Bene e di tutto il Male del Sud ed è assai coinvolgente. E’ stata una lettura che ha lasciato il segno, commosso e irritato, scosso e raddolcito. Ve lo consiglio con la raccomandazione di leggere su un immaginario bugiardino tutti possibili effetti collaterali. Alla prossima, miei amici cari.
Sergio dice
Bello tecnicamente il commento ma non concordo