Se fosse possibile condensare in una sola frase un intero libro, direi che non ci siano dubbi che per “Americanah”, della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, le parole “ Ho scoperto in America di essere nera” siano la perfetta sintesi dell’opera.
Si tratta di un libro molto bello, drammatico e ironico al tempo stesso, che ci fa scoprire cosa siano l’Africa e l’America al tempo stesso, sbarazzandoci delle pie illusioni che il razzismo sia stato debellato nel secolo scorso in entrambi i continenti. Non è un pensiero superficiale: per questo ci basterebbero le frequenti cronache d’oltreoceano e le immagini degli agenti che si addensano intorno a un uomo di colore facendolo fuori senza troppi problemi.
No, il pensiero è più profondo, come se il libro volesse trasmetterci il messaggio che il razzismo sia inestirpabile. E con questa definizione lapidaria non ci sarebbe altro da aspettarci. Invece la faccenda è speculare perché non esiste solo il razzismo dei bianchi ma è altrettanto potente anche quello dei neri. E soprattutto il libro ci fa arrossire perché non sappiamo proprio niente della realtà della Nigeria odierna e delle sue divisioni di classe.
E dunque questa brillante scrittrice nigeriana, ha conquistato pubblico e critica, aggiudicandosi un sacco di prestigiosi premi. Ed è voce comune che in Nigeria si sia affermata la “cultura del romanzo” come strumento di protesta contro l’instabilità economica e politica e la violenza della guerra civile. Il romanzo comincia dalla fine e come tale, sembrerebbe la storia di un fallimento. Ma non è così, anzi è la storia di una vittoria su pregiudizi e errate convinzioni piene di fanatismi, tabù e superstizioni e segue le vite parallele di due personaggi: Ifemelu, una donna intelligente, ironica, imprevedibile, così autentica da indurre a pensare che sia autobiografico, e Obinze, l’uomo di cui Ifemelu è innamorata.
MA. C’è un ma: poiché Ifemelu ha un blog, di grande successo, è fuor di dubbio che l’autrice se ne sia servita come strumento di denuncia e di rivelazione dell’immaginario collettivo di due continenti.
La storia si snoda in una carambola di tempi e luoghi – siamo certo lontanissimi dalle famose tre unità di luogo-tempo-azione di cui Aristotele ci ha riempito la testa -: numerosi flashback, che sembrano grossi nodi letterari ma anche grossi problemi da risolvere.
Ifemelu ha una borsa di studio a Princeton e il romanzo inizia con una divertente descrizione di come, alla fermata del metro i bianchi siano tutti magri e ben vestiti e i neri grassi e sciatti ed è proprio in uno dei templi del sapere che la ragazza scopre di essere nera, cosa che a Lagos non costituiva la minima evidenza. Sono passati tredici anni da quando é arrivata e ora ha deciso di tornare a casa lasciando tutti basiti.
Chi tornerebbe mai in patria, vivendo a Princeton e ricevendo migliaia di lettere sul suo “Guazzabuglio”, il blog che ha raggiunto l’apice del successo, dopo anni di fatiche per pagare l’affitto, adeguare il suo accento agli standard americani. Ma attenzione, il romanzo non si svolge affatto nella cornice di un vittimismo lacrimevole, tipo “Capanna dello zio Tom” , quanto piuttosto, in entrambi i continenti, in ambienti di alto profilo, ricco e potente, dove Ifemelu potrebbe benissimo godersela un sacco.
Ma c’è qualcosa nel fondo del cuore da cui non riesce a staccarsi ed è il ricordo dell’unico vero amore. Un uomo che ormai nella Lagos corrotta e viziosa ha fatto una montagna di soldi, si è sposato e ha una figlia. Questa è un’epopea di più generazioni, che commuove e turba, punteggiata dal grande humour di Ifemelu, che coglie sempre tutti impreparati con le sue caustiche battute. In un mondo in cui tutto è regolato secondo canoni precisi, persino il modo come sono fatte le sue treccine che vanno domate con litri di lisciante o sulla sua capigliatura afro.
Esasperata la ragazza dà voce al proprio scontento su blog e si crea un folto pubblico che condivide molto bene lo stesso scontento, così che l’acconciatura diventa perfetta metafora della questione razziale e impone che la “norma del bello” sia commisurata ai canoni della “white beauty”. Eppure lei è bella e spiritosa, ha infiammato l’animo di un ragazzo splendido, frequenta un ambiente molto perbenista, dove tutti manifestano atteggiamenti “politicamente corretti”.
La satira sociale è ininterrotta, seppure venata di malinconia e la decisione controcorrente di tornare a casa viene presa da una persona molto cambiata rispetto alla ragazza che è arrivata dal continente nero, perché la sua personalità è mutata e soprattutto la sua coscienza, nel luogo di scambio che lo spazio digitale ha creato. Indimenticabile la scena dell’elezione di Obama, le lacrime dei presenti, lo sguardo verso il futuro pieno di speranza. Il libro è ricchissimo di stimoli ed è anche istruttivo per ciò che ci racconta dell’Africa contemporanea, di cui conoscevamo solo luoghi comuni. In sostanza un romanzo piacevole, interessante e profondo. Sicuramente tra i migliori che abbiamo letto quest’anno, noi, appassionati di lettura che non avevamo bisogno di nessun lockdown per indurci a leggere.
Sergio dice
Devo ancora leggerlo la tua recensione e’come un antipasto per preparare anima e cervello
Well done my dear!
Renata dice
Paola ..grazie di questa tua splendida recensione che mi sta facendo gustare ancor più il libro Amaricanah. Gli spunti da te segnalati e approfonditi (Es Nigeria, della quale sapevo molto poco) arricchiscono ulteriormente e danni ancora più distanza a questi libri. Ti abbraccio e ci vediamo presto ! Renata
Sergio Alhadeff dice
Lo devo ancora leggere, cerchero’di non farmi influenzare dalla tua recensione e giudicare il libro solo dal mio punto di vista di lettore amatoriale