Sarà capitato a tutti almeno una volta nella vita di amare alla follia qualcuno che non ci fila neppure di striscio.
È una sensazione fra le peggiori, perché per quanto ci siano state nella nostra esistenza parecchie faccende brutte e dolorose, il rifiuto è una specie di lutto col morto ancora vivo.
Quando si spasima per qualcuno che non ci vuole siamo come quegli schiavi legati alle catene nei campi di cotone prima della Guerra Civile Americana. Ostaggi di una passione divorante della quale tuttavia non siamo in grado di sbarazzarci.
Troppo facile la somiglianza con le droghe che ti distruggono l’anima e il corpo. Eppure… eppure, in qualche modo oscuro o perverso, dentro quella situazione ci stiamo anche bene. Quasi bene, insomma. Dopotutto Masoch non era un pirla e ci ha insegnato che il rifiuto da parte di una persona amata ce ne rende dipendenti. E’ come se un qualche genio malefico si stesse divertendo da matti con noi e ci facesse arrostire sul fuoco di una graticola: la nostra ossessione è vibrante di gioia magari per un solo attimo in cui ci attraversa il pensiero di un momento felice, di tanti minuscoli dettagli graziosi ed esaltanti, prima che la bomba H scoppiasse.
C’è dunque una specie di Fato, ma no, cominciamo col togliergli la maiuscola, che gongola come un pazzo a metterci sempre sulla strada di persone sbagliate, che non si pongono tutte le nostre domande, che vivono in totale indifferenza tutte le belle cose che a noi paiono divine? La persona che amiamo ci pare irraggiungibile ma noi a testa bassa andiamo avanti caricando di significato minuscoli frammenti di vita assolutamente privi d’importanza, gozzovigliando su quelli e costruendo nella nostra mente sogni impalpabili e densi come miele.
A quella persona noi abbiamo regalato il potere di vita o di morte su di noi, abbiamo consegnato lo scettro della nostra esistenza, dipendiamo interamente da essa e ci accontentiamo di briciole, imperterrite nel non volere vedere, nel non volere capire, nel non reagire, nell’ inventare cose che non esistono. Sarà dopo, magari nelle mani di un bravo terapeuta, che il film verrà rivisitato a una velocità più lenta. Sarà dopo che il nostro improbabile sentimento ha costruito un altare per il nostro dio/dea e lo abbiamo circondato di barriere protettive perché fosse al sicuro nelle amorevoli caverne del nostro cuore, robuste come un rifugio antiatomico.
Nel nostro cuore, Amato/Amata, nessuno potrà mai distruggerti, i nostri sogni ti faranno lievitare sempre di più come i nostri pensieri ossessivi, da quello appena svegli all’ ultimo sul quale fatichiamo ad addormentarci ti faranno svettare comunque e dovunque.Perché in fondo ci sentiamo anche un po’ eroi/eroine e in fondo pensiamo che la gente che non ha mai vissuto un amore di questo tipo sia davvero banale.
Poverini loro che non sanno a che altezze siderali può farti giungere una passione infelice, a che livelli di desiderio e di perversa bramosia di soffrire, che non sanno quanto sia elettrizzante essere rifiutati, come se esistesse davvero quel misterioso mix di piacere e dolore che si prova nelle fumerie d’oppio che abbiamo visto in certi film, dove tutti, rincoglioniti e abbandonati su lettini, stavano lì a guardare nel vuoto, totalmente liberi dalla sofferenza.
Oh! Cento volte meglio avere vissuto questo che il nulla, pensiamo con una specie di orgoglio. Meglio che una vita piatta di sentimenti e di emozioni, no? Perché noi abbiamo conosciuto un dio/dea e abbiamo avuto il privilegio in qualche modo di condividere con lui/lei momenti esaltanti. Magari solo per noi, ma non importa. Gli altri? Gente insignificante che non conosce il vero senso dell’amore.
Noi che siamo così ben tormentanti da una passione infelice invece siamo così eccezionali, abbiamo questo immenso potere di pensare H24 a qualcuno e soffiargli dentro l’ossigeno del nostro amore come fosse un palloncino per vederlo vibrare poi lontano e smarrirsi nel cielo.
Eppure i segnali di fumo c’erano, eppure alcune spie rosse le abbiamo viste lampeggiare, ma non abbiamo dato loro nessuna importanza. Forse se lui/lei ci avesse invece voluto come lo/la volevamo noi, quest’amore non sarebbe stato così immenso, sarebbe rientrato pochissimo alla volta nella consuetudine e avrebbe perso l’eccezionalità della cosa speciale: noi soffriamo da pazzi, però abbiamo raggiunto altezze inenarrabili.
E ripassiamo i messaggi sul cellulare, li ripassiamo fino allo sfinimento e osserviamo le foto che aveva postato e che per noi significavano inesorabilmente che lui/lei ci pensava e pensava solo a noi e analizziamo le parole, una per una, e siamo increduli che potesse mentire così spudoratamente. Neppure di fronte alla realtà ci arrendiamo, siamo così patetiche/patetici in questa mancata resa all’evidenza, davanti a quella che è pura e semplice indifferenza o narcisismo.
Ma sì perché poi il terapeuta ci dirà a un certo punto, credendo di alleggerirci l’anima, che il tipo/la tipa rientrava nella categoria dei Narcisisti, che tutto succhiano sino al midollo e tu penserai “E allora? Io ero più che felice di dargli tutto!! ”.
Il nostro amore ha ingigantito una persona che non ne era degna o che non lo voleva, cui abbiamo dato un potere immenso e la chimica del nostro cervello è impazzita di gioia. Ormai siamo assuefatte/i a quel veleno e ci sembra nettare.
Ebbene la ricerca più avanzata nelle neuroscienze ha il coraggio di affermare che il rifiuto della persona amata rimette in luce certi rifiuti affettivi molti lontani nel tempo e piuttosto insopportabili, ma che tuttavia ci sono noti e con i quali abbiamo imparato a convivere. E anche a renderci più forti: io non ho la mistica del dolore che ci ha accompagnato nella nostra educazione cattolica e credo che il dolore purtroppo sia fine a se stesso.
Invece credo che a un certo momento butteremo la spugna. Senza neppure metterci a un tavolo di trattative per cercare di non perdere tutti i nostri territori, semplicemente capiamo che più di così non possiamo fare. Credo che sia l’istinto di sopravvivenza. La vita ci ha fatto vivere un’esperienza che non dimenticheremo mai e mai e mai, però infine abbiamo avuto un soprassalto di dignità e ci siamo dette che più in basso di così non si poteva scendere. Che a quel punto si poteva solo fare quello che il navigatore in macchina ci suggerisce con voce seccata: arrivati alla prossima rotonda fate inversione di marcia.
Occorre resettarci e la strada è davvero costellata di ostacoli ma alla fine sì, alla fine ce la facciamo davvero perché, come quel celebre esperimento del diavoletto di Cartesio, più in basso siamo scese, con maggiore forza ritorneremo in superficie.
Sasa dice
Magari fosse vero