Devo confessare che mettersi a leggere “ La salita verso casa” di Kanako Nishi, subito dopo avere passato un mese col Nobel Jon Fosse e il suo “ Nell’altro nome” e le mille e cento pagine dei “ Diari di Jakub” della Nobel Olga Tokarczuk, è stato come passare dal pranzo di Babette a una ciotola di latte e cereali.
Insomma dei libri che leggiamo, specie se sono altamente meritevoli, rimangono così tante tracce dentro di noi che non è facile sbarazzarsene. Aggiungiamo il fatto che personalmente nutro una vera e propria idiosincrasia verso la letteratura giapponese che mi accompagna da una vita intera e apprestarmi a leggere le 235 pagine di Kanako mi metteva addosso un certo nervosismo.
Pensate che questo poi è un vero caso letterario che ha venduto mezzo milione di copie ed e stato trasformato in film e manga: cosi mi sono stancamente trascinata per circa duecento pagine, seguendo colazioni pranzi e cene della famiglia Hasegawa, padre, madre, due figli maschi e una figlia femmina.
Poi è stato come se Kanako prendesse una granata, ne staccasse la linguetta e me la lanciasse fra i piedi. La tranquilla banalità di una vita serena e normale. Normale. Parola pericolosissima, perchè sono sempre stata sicura che la “NORMA” non esista e che, qualora le assegniamo uno dei molti significati filosofici che le si possano attribuire, svanirebbero rapidamente nel nulla.
Una famiglia normale. Ma la norma non esiste, la bici di Hajime, il fratello maggiore, bravo bello buono, viene falcidiata da un taxi mentre lui andava nottetempo a comprare delle batterie e il mitico fratello viene trasformato in un mostro a due ruote. Cara Kanako, in questa trentina di pagine dimostri che il tuo successo te lo meriti, a parte il travolgente amore che tu nutri per il tuo cane e che tutta la famiglia nutre per Sakura, onnipresente, ciò che esce dai tasti del tuo pc sobriamente e delicatamente, significa che sulla tua fronte c’è impresso il marchio del vero scrittore, con cui si nasce o non si nasce.
Quelle trenta pagine sono davvero toccanti e descrivono il dolore di ciascuno dei familiari con autentico talento. È davvero difficile inserirsi nello stile di vita e di tradizioni di un paese cosi lontano dal nostro, ma di sicuro c’è che il dolore è la costante del mondo intero. Lo strazio e l’amore sono strettamente intrecciati e tu descrivi davvero molto bene quelle sensazioni e quei sentimenti che inondano le anime dei sopravvissuti. Ma Kaoru, il secondo figlio, generalmente poco incisivo nel corso della storia, svetterà a questo punto per meritarsi l’attenzione della famiglia e soprattutto salvare la piccola Miki, disperatamente innamorata del fratello scomparso. Per cui con questa trentina di pagine per una volta tanto cancello i miei pregiudizi e mi predispongo a migliorare. Chapeau, Kanako.
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