…. Sembrava una vera amicizia allo stato nascente, quella fra Cecilia e Giulia, che, disciplinatamente, secondo le istruzioni di Elena, divisero la giornata in tre parti eguali: otto ore di sonno, otto ore di studio, otto ore di spasso. Alle nonne pareva rispettabile come programma e non misero becco. Si limitarono a produrre quanto più cibo possibile per le due fanciulle e a fingere di non sentire quando tornavano a casa verso le tre, dopo delle serate in una discoteca piena di indigeni, dove dicevano di divertirsi da pazze. Di essere l’attrazione del locale. Di avere tutti i ragazzi ai loro piedi. E non era difficile da credere. Le nonne fecero solo un commento nello stile pragmatico che era loro tipico. “ Ai vostri piedi? Ottimo. Però lasciateli lì ”.
Così le due fanciulle completarono senza negligenze il programma di studi. Mangiavano come profughe, la sera si vestivano un po’ da puttanelle e prendevano la mini di Cecilia per andare alla discoteca sul lago, dove qualche birretta in più se la facevano, occorre dire, senza però averne delle conseguenze rimarchevoli. Sembravano due quindicenni piuttosto che due quasi dottorande, perlomeno Cecilia. Fu cosi che venerdì venne prestissimo, dopo ore di conversazioni e di confidenze e di confronti dei vari trucchi e dei vari top, con scambi fraterni, ma a una cert’ora tutte si dettero una regolata. Arrivava Elena, e ogni cosa doveva rientrare nei ranghi.
Elena infatti arrivò, con viso impenetrabile, più preoccupata d’incontrare sua figlia che la ragazza amata da suo marito. I viaggi in Honda erano sempre zeppi di riflessioni, di dubbi e di progetti, ma quando arrivava alla Topaia subiva sempre una specie di incantesimo. Si rilassava e diventava improvvisamente di ottimo umore. Non avrebbe saputo dire neppure lei perché, ma certo il suo inconscio inzuppava il pane nei remoti ricordi d’infanzia e di adolescenza e lo spirito si risollevava perché la realtà odierna ci pare spesso pesante rispetto alla lievità dei nostri giorni precoci. Inoltre alla Topaia c’erano un sacco di adorabili memorie sul nascere della SUA famiglia, sui bambini piccoli e sull’amore di Luca così traboccante di passione che non la lasciava un attimo in pace, che la tampinava in ogni angolo un po’ segreto del giardino e la toccava, la carezzava, le faceva il solletico, le infilava le mani dovunque, ma soprattutto la baciava la baciava la baciava. Era un mago del bacio. I loro baci duravano minuti interi, che sembravano ore, ed erano sempre indimenticabili. Sì, forse, quando Elena arrivava alla Topaia la folla dei ricordi le si buttava addosso e, siccome prevaleva il bello, sempre il bello, allora le sembrava che nel cuore scendesse qualche goccia di miele ad addolcire l’amaro che aveva ora a riempirle il petto, un amaro che traboccava e le si rovesciava nel corpo e nell’anima.
Ron ron ron, il motore della Honda si affievolì, Elena tolse il casco e prese lo zaino, stracolmo di roba. Entrò come una folata di vento in casa, Giulia le si fiondò addosso e la baciò stretta stretta. Anche lei aveva tante cose nel cuore che traboccavano, le sarebbe piaciuto stare un po’ loro due da sole e dirle, dai mamma, sì capisco per carità, il tradimento è una sporca cosa, ma ormai, dai, è vecchio, è acqua passata, papà ora è un altro, credimi, è così buono, così bello, non lo puoi gettare giù dalla Rupe Tarpea e via andare. Su, fallo per noi, fallo per me che non saprei vivere senza di lui, e che poi vedendoti fare così mi viene un magone terribile e mi fa anche detestare Pietro che invece è un tesoro, perché penso al tradimento in generale e mi addoloro. E guarda che è vero, l’ho rivoltata come un calzino, Cecilia è una santa, non ha fatto nientissimo con papà, te lo giuro non sarebbe stata in grado di reggere il mio terzo grado.
Così si abbracciarono strette strette, e le nonne, che la sapevano lunga, ebbero come una specie d’intuizione, cogliendo negli occhi di Elena un grado di durezza inferiore, di minore asprezza. Si scambiarono un’occhiata d’intesa complice, che voleva dire stiamole addosso, non molliamola un attimo, e le ficcarono sotto il naso un piatto di lasagne da fare resuscitare i morti, cosicché tutte si misero a mangiare tranquillamente-animatamente-allegramente, ma nell’aria c’era qualcosa di nuovo. Anzi d’antico.
Se Tommaso lo avesse saputo non avrebbe messo in atto il suo piano. Aveva staccato il foglio centrale del quaderno di aritmetica, dividendolo con perfette diagonali e scrivendo da un lato “costi” e dall’altro “benefici”, entrando fin da quell’istante nel ruolo del futuro celebre economista che sarebbe stato riverito persino a Bruxelles. Ma intanto il suo piano era partito: aveva mandato messaggi a tutti i maschi che poco dopo sarebbero arrivati. Il piano aveva nome Contrattacco e, senza saperlo, povero cucciolo, aveva innestato uno sciopero di Lisistrata, ma in versione macho.
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