… Come tutti sanno, i milanesi amano da impazzire le giornate di sciopero dei mezzi pubblici. E in particolare quelle indette dai quei quattro rompiballe dei Cobas con preavviso di un solo giorno. Quando Cecilia si svegliò, dette sul cellulare una scorsa rapida alle news e per poco non si strozzò. Sciopero! Proprio oggi che doveva andare in azienda a portare i documenti necessari all’assunzione! Cacciò un urlo che non svegliò sua madre soltanto perché non c’era. Erano le sette, ragionò poco a poco, poi mandò un whatsapp disperato a Francesco per dirgli che uno sciopero improvviso le impediva di andare da lui.
Lui rispose immediatamente, – figurati se Francesco aveva dormito la notte prima di rivedere la sua dea – e disse “ Che problema c’è? Ti passo a prendere io davanti al Politecnico alle nove “.
Cecilia sospirò. Bisogna dire che in quelle notti di attesa aveva pensato e ripensato a quell’uomo. Sì, aveva ragione Giulia, poteva essere suo padre, però l’amore è l’amore e non conosce barriere. A lei, faceva sangue, non capiva perché ma la rendeva languida e arrendevole. Non avrebbe avuto la minima esitazione nell’andarci a letto, appena firmato il contratto di assunzione, s’intende. Che uomo magnifico. Dio, cos’era la vita. Si stirò in tutta la sua lunghezza, si carezzò il corpo con immensa tenerezza e poi balzò in piedi. Doveva scegliere con ancora maggiore attenzione qualcosa di carino da mettersi addosso, specie ora che oltre al colloquio avrebbe dovuto fare un lungo percorso in macchina con Francesco. Aprì l’armadio e si mise a fissarlo. Non aveva niente da mettersi, cazzo.
Quando si dice il Caso. Quando si dice Com’è piccolo il mondo. Che cosa avrebbe potuto sperare di più Francesco che, mentre apriva lo sportello della sua Maserati tirata a lucido, CASUALMENTE alle nove del mattino di una qualsiasi giornata feriale, se non che Luca potesse passare di lì? Forse non aveva desiderato proprio questo nel dare il luogo e l’ora dell’appuntamento a quella dea? Di fatto, accadde.
Luca camminava a testa china, meditando sulle nullità della vita, sulla facilità con cui uno ha tutto e può perdere tutto in una frazione di secondo. Quei giorni da solo, senza Elena, gli erano sembrati l’anticamera dell’inferno. Non era mai successo che fossero separati, neppure quando lui aveva fatto le sue segrete scappatelle aveva mai passato una notte fuori di casa. Dunque, la solitudine gli aveva scavato le occhiaia in faccia ed improvvisamente era stato assalito, come un uomo bianco da una tribù di pellerossa, da una raffica di frecce che lo avevano trafitto nel profondo. Erano le ignote frecce del rimorso. Aveva sbagliato così tanto nella vita, aveva sempre creduto di essere un padreterno ed invece era un povero cristo. Era solo, i suoi figli quasi neppure li vedeva più e sua moglie era scomparsa. Tommaso, che era sempre stato un duro, passava ore al telefono con lui per frignare e dire che doveva “attivarsi”, che doveva scovare la nonna e che non ci si poteva calare le braghe così.
Luca stava dunque riflettendo su queste e altre umane miserie, quando alzò gli occhi per attraversare la piazza e per poco non svenne.
Cecilia. Cecilia, la preraffaellita di bellezza sconfinata, che stava salendo sulla Maserati di… Francesco?? Cosa ci faceva Francesco con la sua cazzo di Maserati davanti al SUO Politecnico con la SUA ragazza?? E Cecilia soprattutto cosa ci faceva nella macchina di quell’imbecille che da vent’anni gli ronzava intorno con la sua faccia biliosa perché sosteneva, il pirla, di avere lui diritto di priorità su Elena? Cosa ci faceva Cecilia sulla Maserati, dove stava salendo con grazia infinita, sollevandosi la gonna, – quando mai aveva messo la gonna?? – e Francesco, come un lacchè, che le sorrideva tutto dolce dolce … Ormai erano a un passo.
“ Cecilia!” urlò il signor professore.
Cecilia divenne di brace. Non aprì bocca, mentre Francesco, che si era tolto la giacca perché faceva ancora un caldo fottuto e si era arrotolato le maniche della camicia e stava per chiudere lo sportello si rivolse al signor professore con l’aria di pregustarsi quella dose di botte che da vent’anni desiderava dargli.
“ Che vuoi, Luca? Cecilia è con me”.
“ E cosa ci fa con te?!”
“ Viene nella mia azienda perché l’ho assunta”. Cecilia si annodò sul sedile di pelle facendosi piccola piccola.“ Sì, non fare quella faccia. L’ho assunta su precisa raccomandazione di tua moglie e ora sta venendo con me….”
Il signor professore spalancò del tutto lo sportello che era quasi chiuso a metà e tuonò “ Cecilia, scendi di lì immediatamente! Quest’uomo è un mascalzone, sai? Sta solo cercando di portarti a letto con l’alibi dell’assunzione! Scendi di lì, ti dico!”
Nessuno sapeva che in quegli ultimi anni, per sfogare l’eccesso di adrenalina, frustrazione, rabbia e rancore, un cocktail micidiale e potentissimo, Francesco faceva kickboxing, una deliziosa fusione di arti marziali giapponesi e colpi di pugilato, ed era di una forza prodigiosa: quel pugno che da vent’anni anelava di dare alla faccia di Luca arrivò come una martellata sul suo naso e il fiotto di sangue che ne uscì inondò la faccia dei due contendenti oltre che la gonna di Cecilia e la morbidissima pelle dei sedili della Maserati, cosa che Francesco scorse inorridito con un’occhiata obliqua e che lo indusse immediatamente ad allungare un’altra sventola. In quell’istante gli traversò il pensiero languido che quel pugno era simbolicamente dato per Elena e non per Cecilia, perché l’amore VERO lascia addosso una specie di voluttà e di vulnerabilità, come fosse la scia in cielo di una stella spenta. Ora, la sua forza era sprecata per la piccola Cecilia, che comunque lo stava squadrando come fosse Giove.
Mentre Luca si accasciava urlando, da mille direzioni un fiume di studenti correva verso di loro, mentre molti digitavano frenetici 112 112 112 piazza Leonardo da Vinci fu subito invasa di ululati di sirene.
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