Mi sento incline a pensare che le raffinate molecole delle aurore boreali posseggano una qualità in più, cioè quella di distendere gli animi e indurli a una pacifica rassegnazione al proprio destino. Stiamo parlando di un libro dal titolo “ Metodi per sopravvivere” scritto dalla islandese Guðrún Eva Mínervudóttir.
La minuscola popolazione di un sobborgo di Rejkiavik e la vastità di un territorio prevalentemente ostile producono nei protagonisti una serie di reazioni vagamente insolite. Ma anche propense ad uno stadio di isolamento fisico e morale, che suscita un’apparente indifferenza, ma al tempo stesso nasconde una solidarietà piena di naturalezza.
Konrad Lorenz, nel cui letto ho dormito ( non in senso biblico, bensì proprio letterale) in un nido d’aquila nel salinsburghese, ha rilevato nei suoi studi che il luogo in cui c’è più alto il tasso di aggressività è una fermata di bus a Manhattan: ne consegue che la distanza fra gli uomini produce naturalmente una sorta di pace.
Questo piccolo romanzo, che sorprendentemente finisce quando pensavo che cominciasse, racconta la storia di Aron, un ragazzino abbandonato dai genitori e sostenuto da Borghildur, un’anziana vicina, Arni, un pensionato dalle sfinenti passeggiate nella brughiera col cane Alfons e una ragazzina anoressica di nome Hanna.
Un piccolo mondo, stretto tra torrenti e immensi pascoli, dove tutto sembra vagare in una nuvola onirica, in una routine che assorbe e cela ogni inquietudine. I tre adulti sostanzialmente danno vita per Aron ad una specie di famiglia succedanea, nella quale ciascuno ritrova il meglio di se stessi.
Un breve romanzo, quasi impalpabile, i cui personaggi, tutti profondamente infelici, vengono silenziosamente impregnati dalla compassione, che vince la solitudine e produce salvezza, confermando le celebri parole di John Donne che dicono “ Nessun uomo è un’isola”. È allora che insorge un’inaspettata intimità, che il senso delle cose cambia colore e trasparenza, che si guarda il mondo con occhi diversi, anche se malinconici.
La nostra coach talvolta ci mette dietro la lavagna e per sgravare di emotività le nostre accese bellissime sedute ci fa leggere una favola, credendo così di distendere gli animi. Di cosa dovremmo discutere in questo libro? Suppongo che saremo tutte d’accordo, e morta lì. Per citare un’arguta MA, devo dire che ci sarebbero in me forti possibilità di continuare a esistere nella mia galassia, anche se non avessi letto questo libricino delicato.
Ma del resto sarebbe anche questo un metodo per sopravvivere. E comunque io la penso come Virginia Woolf, che disse “ Io credo che il paradiso sia leggere continuamente. Senza fine”.
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