Francesca si sveglia col primo sole, perché non abbassa le tapparelle. Una veloce pipì, poi s’infila la tuta e il contapassi al polso, regalo costoso della nonna, che la definisce la luce degli occhi suoi, forse per compensare la nauseante preferenza che la mamma ha per il figlio maschio, uno stronzo senza arte né parte. Rapido passaggio per scala A e scala D a ritirare tre cani, poi via per i 45 minuti di corsa intorno all’isolato, con i cani scodinzolanti e felici dietro di lei. Fa la dog sitter per raggranellare soldi, ovvio. Al ritorno veloce doccia, un’occhiata di disgusto alla porta semiaperta delle sue coinquiline, che sono ancora nel primo sonno. Oggi sarà il suo turno a fare la spesa e la lavatrice e di voglia ne ha pochissima, per quelle due sciamannate che si fanno senza tregua.
Il metrò la porta in centro da sud ovest in ventitrè minuti. Le lezioni cominciano entro quindici minuti e lei fa di corsa il tragitto da San Babila a Festa del Perdono. Due ore toste, diritto penale e diritto privato. La terza ora la passerà nell’aula crociera, nella biblioteca di giurisprudenza, dove sta preparando la tesi, perché, diciamolo pure, lei è un tantino fuoricorso. A 25 anni suonati dovrebbe avere finito da un pezzo, ma il suo relatore la tira in lungo e lei prova frequenti impulsi omicidi. Nell’intervallo del pranzo, tanto per raggranellare soldi, fa la barista in un baretto di via Bergamini, dove mangiucchia qualcosa e scherza con i ragazzi. Sono ore tranquille, tutto sommato. Subito dopo va al super e torna in Statale con due borsone gialle. Ha trovato un altro escamotage per raggranellare soldi, orgogliosa com’è, tanto da volersi pagare di tasca sua studi e casa.
Legge dei testi a un suo professore che, per la maculopatia, è quasi cieco: quando lui ha fatto girare la voce delle sue esigenze, Francesca è stata la prima a fiondarsi da lui, che è rapito dalla sua bella voce calda e l’adora. Intanto lei sta pensando alla cena in famiglia di stasera, e soffoca quasi dalla noia. Immagina le solite dinamiche, i soliti duelli, i soliti luoghi comuni. Per fortuna che ci sarà anche la nonna. Quando esce dall’università, vola a comprare dei dolcetti che piacciono al papà e poi si sbarba un’ora di metrò e va in periferia estrema a nord est. La cena è noiosa come al solito, ma con la nonna si scambiano sguardi complici. Lei però sta pensando che quella notte non l’avrebbe scampata. Sono mesi e mesi che Marco le sta addosso e le ha dato un aut-aut. Se non faranno sesso, lui la lascerà. Sono secoli che l’implora, ha detto. Anche Francesca ha una gran voglia di farlo ed è in ritardo di ere geologiche sulla media delle sue amiche. Un saltino in discoteca e poi, ma sì, un’oretta o due a casa di Marco, che è così dolce. Andrà come andrà. Ha deciso per il grande passo. Comunque avrà tempi stretti, perché domattina deve fare corsa coi cani.
Giulia è stata contagiata dal virus del volontariato già da tre o quattro anni. E quando questo succede, non c’è via d’uscita, è un imperativo categorico. Lavora in ospedale per un’associazione che si occupa di bambini. Così dannatamente coinvolgente. Si alza presto, prepara la colazione a Giovanni, tenta di strappargli un sorrisetto, ma poi lascia correre. Se rientri nel numero di esuberi che l’azienda ha già programmato, non hai scampo. Giovanni è intrattabile, prima furibondo poi depresso, con lo sguardo perso nel vuoto per ore. Non fa che pensare a quell’ingiusta ghigliottina. Giulia sospira e mentre sta intrattenendo i suoi piccoli malati, pensa al suo grande malato. Ha tentato di tutto, ma capisce che un quasi sessantenne non avrà molte altre chances.
È anche un tantino amareggiata dagli smacchi di suo figlio, che ha mollato gli studi ed è entrato con camicia bianca e cravatta, nella scia inconfondibile degli agenti immobiliari. Con scarsi risultati. La vita non va troppo bene: per carità, hanno avuto i loro tempi d’oro e bisogna pure ammettere che un po’ di soldi li hanno da parte e Giovanni sembra intenzionato a fare consulenze, quindi non sono con l’acqua alla gola, ma, appunto, i tempi d’oro si sono arrugginiti. Quando dall’ospedale va a fare una grossa spesa, attacca le buste ai manubri della bici. La casa è vicina e dovrà lustrarla, perché il venerdì fa sempre così e lei ha i suoi riti da cui non deroga mai. Torna in cucina, ora arriveranno i due uomini amatissimi e passeranno un’oretta faticosa, ma Giulia è un temperamento solare, non si abbatte per così poco.
Il pomeriggio, dopo il solito lungo sfogo telefonico con l’amica del cuore, punteggiato da grasse risate, va a seguire un paio di corsi all’UNITRE, perché, occorre dirlo, lei ha un magone che non va giù, quello di avere piantato gli studi perché Giovanni l’ha messa subito incinta e ora freme dal desiderio di imparare tante cose che non sa, rispetto a lui. Poi prepara la cena per la famiglia, pensando che nel seminterrato ha un metro di roba da stirare. Ma lo farà dopocena, anche se dovrà lottare con Giovanni, che quando ci sono certi talk show politici la vuole vicina a sé, come spettatrice delle sue invettive. Poi fila via, stira, si guarda intorno, la cucina è in ordine perfetto, domani andrà da sua madre, che le sembra non stia tanto bene. Forse è depressa anche lei, dopo la morte del papà non si è mai veramente ripresa. Giulia ha tanti pensieri, marito, figli e madre, non ha nipoti e ne soffre da pazzi. Fosse per lei, si farebbe impiantare in utero gli ovuli fecondati di sua figlia, che non intende nella maniera più assoluta riprodursi. Ma forse queste sono cazzate prive di fondamento scientifico e Giulia è una sognatrice, va detto.
Comunque bisogna che lo faccia capire alla sua famiglia, pensa Anna, tornando casa, nel vortice della sua vita. Sono anni che Mauro è morto e lei non è stata affatto a guardarsi l’ombelico, come Buddah. Si è data da fare. Molte lezioni ai ragazzini dei vicini, perché insegna matematica e fisica e quindi arrotonda la pensione. Poi la ginnastica, per carità quella è un must, bisogna ascoltare i messaggi del corpo e arginare l’artrosi, che le è sembrato così buffo scoprire sul monitor, quando ha fatto il menisco, che fosse come una specie di bambagia bianca intorno alle ossa bianchissime, mentre invece aveva sempre creduto che fosse una specie di strato calloso e duro. Quando può permetterselo va anche in piscina, ma è lontana e costosa. Ora ha questo problema delle due amiche più care, che sembrano tutte e due arteriosclerotiche, e non sa cosa fare, se assecondarle o correggerle. Se seguirle o abbandonarle, ma lei non è tipo che abbandona.
Così di tanto in tanto fa la buona samaritana e va a trovarle, e le accompagna in giro e le scruta per scoprire quali possano essere i sintomi di un male così diabolico. Ed eventualmente prevenirlo in lei, ma certo non ha più intenzione di prendere un po’ della paroxetina che prendeva dopo la morte di suo marito, perché detesta le dipendenze. Piuttosto ci sono novità nella sua vita. Chissà mai come sia successo che passando per corso Garibaldi abbia gettato l’occhio nel vecchio teatro Fossati, dove danzavano un liscio travolgente e un tipo sulla porta l’abbia invitata ad entrare. Aveva tempo ed era entrata. Per cui aveva scoperto di essere portatissima per il ballo, cosa che ignorava perché suo marito lo vedeva come il fumo negli occhi.
E’ l’ora della telefonata di Claudio. Si mette in poltrona, controlla che il cellulare sia ben carico e aspetta. Non che Claudio sia qualcosa di speciale, è una persona normale, molto normale, ma in lei risveglia certi ricordi. Certe sensazioni. Non ha detto niente in famiglia, per carità, ancora no, anche se sospetta che sarebbero tutti ben contenti di saperlo. Dopotutto se un vecchio si toglie dai piedi e riprende in mano la sua vita, i figli fan saltoni di gioia. Comunque domani tasterà il terreno con Francesca.
Perché sì, se ancora non avete capito, le tre donne di questa riflessione, sono madre, figlia e nipote. Tre donne di razza. Di quelle che compiono il piccolo miracolo quotidiano di sopravvivere senza gettare spugne ma anzi distribuendo i talenti che posseggono. I loro piccoli, grandi miracoli esistenziali.
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