Il Premio Goncourt, nato agli albori del Novecento, è una delle poche cose che mi fanno venire le farfalle nello stomaco. Perchè immediatamente è come se premessi un pulsante e facessi un salto nel tempo, quando pronunciare il nome del premio mi faceva tornare i capelli neri e mi proiettava nei tempi arditi dell’esistenzialismo, sotto la fascinazione di due grandi geni, Sartre e De Beauvoir, che, se da un lato hanno ribaltato la visione del mondo, dall’altro hanno corrotto un’intera generazione con la loro assai discutibile etica e una filosofia che non ha retto al tempo. Fortuna che, sebbene l’avessi incrociata al Cafè Flore, Simone e i suoi indimenticabili occhi azzurri, me ne sono sgusciata via presto, salvando il salvabile.
Nessuno prima di lei aveva scritto qualcosa di così eclatante come Il Secondo Sesso e il segno lasciato è indelebile. Il Premio Goncourt era il marchio a fuoco per la letteratura altissima e così si è inchiodato nella mia mente. Era il simbolo della vera cultura.E Simone se ne era fregiata. Ma il tempo è guizzato via anche per il premio, oppure semplicemente tutti siamo inesorabilmente cambiati. Ora nel leggere certe pagine del Goncourt del’24 ti sembra di avere in mano un tomo di Dan Brown. Un bel romanzone di quelli che si scrivevano una volta, insomma, di cui abbiamo le librerie inutilmente zeppe.
Non voglio mancare di rispetto a Jean Baptiste Andrea, di cui in Francia si parla molto bene: è un bel ragazzo, scrittore, regista, sceneggiatore, che vive fra Parigi e Los
Angeles,che è davvero molto fantasioso ed onusto di ben 12 premi. Il libro che ci interessa è Vegliare su di lei, un singolare soggetto che ha come protagonista uno scultore nano ed una ragazza di ottimi natali che sogna di volare. Fra i due, fin da quando avevano dodici anni, cioè finchè erano alti eguali, s’insinua un sentimento impetuoso, anzi una fusione spirituale, che non avrà mai, per tacito accordo, la soddisfazione dell’estasi di un amplesso, ma che resterà eterna.
Il titolo è una promessa, VEGLIARE SU DI LEI è una promessa, anche se la protezione è quanto mai reciproca perché, vivendo agli esordi del regime fascista, è proprio l’egida della famiglia di lei a promuovere il bravissimo ragazzino nato povero ed orfano, con lo scalpello in mano e diventato un protegè di Papa Pacelli e figure di spicco del regime.
I due sono la ininterrotta liaison di una storia lunga ottant’anni, in un romanzo pieno di colpi di scena in cui Mimo e Viola fanno di tutto, volo incluso.
Nel grande disegno del destino, se non si crede al libero arbitrio, lui col suo grande talento, lei con la sua mente immaginifica, s’intendono alla perfezione. La vita li divide
spesso, ma sempre si ritrovano, in uno scenario cambiato in cui Mimo diventa insopportabilmente alcolizzato e Viola poco alla volta si arrende alla realtà, dopo essersi ribellata con tutte le sue forze. Nel contesto delineato s’inserisce una “Pietà” scolpita da Mimo che avrà una sua storia rocambolesca che mi ha fatto pensare a Dan Brown, ma della quale vi lascio il piacere di scoprire i retroscena.
Il libro quindi è un abile miscela di arte ed amore che perlomeno ci porta un po’ fuori dal consueto. Non mi sembra meritevole di un premio tanto prestigioso, tuttavia è colpa del premio, che si è adattato ai tempi.
Lascia un commento