Certo che non riesco ad immaginare una beffa peggiore per una ventiquattrenne calabrese assai carina e col suo target di libri rosa di grande successo, di uscirsene con il titolo di “Cuore nero” nello stesso momento in cui una delle più famose autrici italiane di nome Silvia Avallone pubblica il suo attesissimo quinto libro dal titolo “ Cuore nero”. Un omaggio ad Amabile Giusti, vittima di questo scherzo da prete.
Silvia è una delle mie predilette, forse perché è biellese, città amatissima, dove ho trascorso la prima adolescenza, forse perché ha saputo tanto profondamente e visceralmente descrivere i sentimenti dell’amicizia, forse perché è bella e molto intelligente e infine, perchè scrive benissimo. Ho seguito passo passo la sua ascesa – dopo Acciaio, immediatamente ha cominciato a sfornare elzeviri sul Corriere – e non ne sono mai rimasta delusa, soltanto un calo di tensione in “ La dove la vita è perfetta” il secondo libro,
dove fra l’altro trovo i prodromi di Cuore nero, perché si svolge in un contesto abbastanza somigliante anche se nelle immediate propaggini di Biella, che anche in quel caso serviva come via di fuga dal mondo.
Dunque esprimo il mio affetto e la mia ammirazione per Silvia, anche se starei ben attenta ad accostare il suo nome a quello di Morante e Ferrante. In primis perchè Morante è la più grande scrittrice del secolo scorso, sulla quale Silvia ha scritto la sua prodigiosa tesi, secondo perché la Ferrante, che adoro e che mi divoro da sempre in una notte – non ha proprio nessuno – ma badate bene, nessuno – addentellato né con Morante né con Silvia. Ciascuno ha il suo stile e il suo proprio animo, nel fondo del quale si annidano tutte le sfaccettature possibili prodotte dall’intelligenza ancora non per molto artificiale.
Cuore nero è una storia estremamente contorta che almeno sino a tre quarti non svela i motivi per cui la protagonista si è nascosta fra i boschi. Ma forse era un escamotage proprio voluto. Di nuovo abilissima nel descrivere gli stati d’animo infiniti dell’amicizia e soprattutto, in questa circostanza, la finezza con cui Marta cerca di aiutare Emilia a uscire dai suoi tormenti. E’ senz’altro vero, a prescindere da Bruno, l’Io narrante che inquesto libro, ed eccezionalmente, perché siamo abituate a leggere personaggi orrendi e antipatici, che qui gli uomini ci fanno proprio un figurone, da Bruno, al padre, al maestro restauratore che contribuisce senza troppe moine da vero piemontese a fare riemergere Emilia dalle sue tenebre e a farla risentire utile al mondo e a se stessa.
Intervistata sulla genesi del romanzo, Silvia con grande spontaneità dice che tutto è nato da Raskolnikov, che due o treanni fa aveva ripreso a leggere: si è letteralmente innamorata dilui e ciò l’ha indotta a indagare cosa succede nell’intimo del colpevole di un delitto. Combinazione sto facendo degli splendidi corsi e fra l’altro la lettura critica di Delitto e Castigo e allora ne ho approfittato per chiedere alla mia ottima docente se lei si sarebbe innamorata di Raskolnikov e senza una minima pausa di riflessione mi ha risposto di sì con gli occhi che le brillavano. A me non è che stia tanto simpatico questo giovanotto però io sono molto esigente e dunque rispetto il parere di chi ne sa più di me.
I giornali e ovviamente il web sono pieni dei riassunti del libro perciò ne farò la massima sintesi e dirò che si narra di due giovani, un maestro elementare e di una ex detenuta – però Silvia che le ha frequentate a lungo per scrivere il libro esige assolutamente che vengano definite studentesse invece che detenute-, si ritrovano in un nido d’aquila, si perlustrano da lontano, si accostano come due cani da tartufo e pochissimo alla volta ritrovano il senso della vita. Detto così sembra una cosetta da poco, ma invece questo libro è un’indagine filosofica di un certo spessore, che non manca di niente, sia nella descrizione dell’uomo che in quella della donna. Sia del maschio che dellafemmina. Scandaglia nelle viscere della colpa, senza negarla, né giustificarla. Una storia di condanna e di salvezza, ma soprattutto una riflessione morale sul fatto che l’avere compiuto il male induce erroneamente a credere che la solitudine sia l’unica via di salvezza perché nessuno possa vedere, nessuno possa capire, nessuno possa svelare…e infatti le spie non mancano neppure lassù nel paesello fra le montagne, basta un poco di gelosia e si può distruggere una persona.
Ed è per questo che la vita fra i due nasce sotto il sigillo del mistero, del silenzio, della bugia, perché nessuno dei due riesce ad immaginare di potere conservare l’altro
soltanto se sapesse…. Così si gioca una specie di ping pong metaforico di mezze battute, di mezze verità, di silenziose urla di richiesta di aiuto senza fornire un minimo aggancio, per comprendere senza enorme fatica che Emilia e Bruno sono due esseri che si puniscono per essere vivi, due cuori che si sono chiusi dentro la pietra per non essere feriti dalla luce. Ecco perché ogni incontro è preceduto dall’impervia salita, fra sassi e cespugli spinosi, fra ghiaia e fra radici insidiose, che con l’arrivo del freddo e della neve diventano delle specie di trekking. Ma stanno qui, la ragione e il prezzo, che diventano ogni giorno più ardui. Vi avviso, in questo libro ci si commuove e tanto. Ma la cosa è buona e giusta.
Dà l’impressione di essere tornati ai tempi di quei bei romanzi che ti risucchiavano l’anima, mentre oggi si fa così tanta fatica a sgomitare fra le tante storie eguali e tutte inutili. Quindi mio grande omaggio a Silvia, sulla quale si sente l’impronta di grandi studi e di molte letture. E le chiederei soltanto il favore di scrivere una mail di due righe ad Amabile Giusti. E chiudo con parole sue, davvero pregnanti, davvero quasi una nuova versione dell’araba fenice e senza dubbio un rassicurante suggerimento sulla vita:
“E il nido di case decrepite del suo sogno ricorrente si materializzò di colpo. Costruzioni in pietra con i tetti di ardesia che si tenevano in piedi aggrappandosi l’una all’altra. Il sole le incendiava. Splendeva con una tale potenza che sembrava giugno, non novembre. In quella luce, persino le montagne parevano nuove. Lei stessa, forse, poteva diventare nuova.”
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