Com’era deliziosamente snob Alessandro Piperno, nell’intervista su You Tube che un abile Franchini, meno banale dei soliti venduti, cercava di stuzzicare per fargli rivelare la genesi di “ Aria di famiglia” ! Sembrava un signorotto dello Yorkshire, giacca di tweed con toppe di camoscio sulle maniche, quella sua tipica ironia e gli accostamenti fra paroloni (che ogni volta si crede di sapere ma che poi si va di corsa a cercare su google) e stilemi romaneschi, come soltanto lui sa miscelare.
Così occorre subito rammentare che questo libro è il seguito del già bellissimo “ Di chi è la colpa” : vi si narravano le vicende di un adolescente che perde i genitori e viene immediatamente risucchiato dalla famiglia della madre, che aveva sempre nascosto di essere ebrea. Ricordo con spasso che in una delle sue prime opere, che Piperno raccontava che nel dopoguerra a Roma nessuno diceva di essere ebreo e che oggi in molti darebbero almeno un polpastrello per poterlo essere.
Ma torniamo al Nostro, con la macchina del tempo: il mio amore per Alessandro ha radici antiche, risale ai primi magnifici elzeviri del Corsera e poi, quando ho saputo che fosse il docente di Lettere Francesi, specialista di Proust, son partita per la tangente, perchè al divino Marcel avevo dedicato il mio intero ventesimo anno, diventando lo zimbello della mia famiglia perché non parlavo d’altro, e del resto, la Recherche, se la si legge, la si deve leggere bene. Ma non era finita lì, perché poi mi ero letta anche molti libri su Proust, per sviscerarne ogni aspetto, incluse le memorie della sua governante Celeste, che aveva assistito alla sua fine, nella celeberrima stanza foderata di sughero, e che lo aveva scarrozzato da bambino proprio in quel Parc Monceau di cui Letterio ci ha di recente descritto la bellezza, avendone fatta una dotta perlustrazione. Senza naturalmente escludere il meraviglioso “Proust senza tempo” di Piperno, uscito lo scorso anno.
E veniamo ad “Aria di famiglia”, che ho letto due volte, frenando a fatica il desiderio di ricominciare una terza volta. Perché Piperno è così, un autore che ti aggancia, ti affascina, ti tiene ben stretto, ti commuove e dischiude il ventaglio delle sue idee, spesso obbligandoti a leggere due o tre volte lo stesso periodo perché non vuoi abbandonare quelle frasi speciali per intelligenza, profondità e umanità del suo infinito talento. Di “Aria di Famiglia” è stato fatto molte volte il riassunto sul web e perciò non starò a ripeterlo. Mi viene da dire che è una specie di romanzo sandwich, perché comporta una buona metà in cui l’Io narrante descrive la sua tribolata esistenza, vessato dalla meschinità di colleghi e studenti, l’incontro a un funerale fra i compagni del liceo – tipo Il grande Freddo – una congerie di humour e malinconia, filosofia e divertimento.
Alessandro ama molto fare riferimenti cinematografici e infatti per la seconda parte del libro, le allusioni a “Kramer contro Kramer” sono frequenti. Ora vi dico in due parole che la seconda parte del libro, nata da una tragedia dove il protagonista si ritrova a dover gestire un inglesino di otto anni, che ha perduto i genitori e nell’albero genealogico di famiglia, lui è il solo che possa farsene carico. Il piccolo Noah è silenzioso, timidissimo e molto devoto: per prima cosa quando si sveglia si mette la kippah. Come potrà il miscredente Professor Sacerdoti, uscire dalle rapide di questo terribile guaio?
Vi descriverò soltanto il primo incontro, in una struttura sociale che si occupa del piccolo: che arriva con la tata, muto e a testa china. Il professore gli ficca in mano, tutto tremante, un pacchetto mal confezionato, che Noah si degna di aprire dopo avere guardato la tata. C’è dentro la maglia del centroavanti del Tottenham “ che gli era costato un rene” ci confida L’Io narrante. L’ombra di un sorriso a testa china gli dice che il primo punto è suo.
E poi, amici cari amici, andatevi a scoprire cosa succede sino alle nozze di Noah, perché questo libro è veramente un capolavoro indimenticabile.
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