Ahh, respirone di sollievo! Finalmente il “ portalettere” questa volta è un maschietto, dopo che abbiamo letto un nugolo di storie di donne, molto eguali fra loro, anche se cambiavano meridiani e paralleli. In effetti devo dire, da proto femminista, che sono tentata di farmi portavoce di una “quota azzurra”, ora che le femmine, sopraffatte e reiette da secoli sul fronte della letteratura, si stanno prendendo la loro rivincita in termini massicci.
Ma dai, no, scherzo, è solo una battuta, ma devo dire che “ Il nostro grande niente” di Emanuele Aldrovandi mi ha toccato nel profondo. Si sente che il giovanotto è intriso di filosofia, lo si sente ad ogni riga ed è per questo che la foto che lo rappresenta non può essere che il Pensatore di Rodin: perché chi studia filosofia – ne sono convinta da quando mi sono a buttata a pesce in questa facoltà- ho sempre sognato che mi si aprissero dei varchi infiniti di sapere più che in altri possibili studi.
Orbene la storia del protagonista è cosi singolare e divertente e apprezzabile perché con grande disinvoltura si passa dalla tragedia alla commedia, per poi riflettere e riflettere e riflettere sulla vita senza tregua ed arrivare a una conclusione abbastanza amara. Amara come il delizioso escamotage con il quale il protagonista dà il soprannome a cose e persone, preso dalle loro caratteristiche e il più simpatico amico è appunto “ Che amarezza”.
Questa volta vi avviso che non ho proprio la possibilità di raccontarvi la trama, molto meno che in casi precedenti. Mi limiterò a dirvi che si inizia con un mancato matrimonio per la scomparsa di uno degli sposi. Lui. Ma Lui sembra avere poteri magici, cosicché subito dopo la sua scomparsa, accompagna passo passo la sposa verso una vita senza di lui e ne immagina il faticoso risveglio dal dolore, la ripresa della vita, un biscotto, un pub, un nuovo amore, il matrimonio con un dentista, la nascita e la crescita di due figli e via dicendo.
Anche Simone de Beauvoir ha scritto a suo tempo “ Mi scoccia che la vita continui nei luoghi dove non ci sono più”. Il succo della vicenda è proprio questo. Cos’è la nostra esistenza se, appena ce ne andiamo, dopo qualche lacrima, tutto continua come se neppure ci fossimo stati? Il Pensatore è profondamente seccato di questo fatto e allora immagina qualcosa un universo parallelo, in cui le cose vadano in modo differente. Per carità, anche in “Amabili resti “, che Alice Sebold ha scritto una ventina circa di anni fa, una morta parlava e discettava, ma qui la grande originalità della trama sta nel fatto che il cruccio del mancato sposo a poco a poco si accresce nello scoprire che anche il suo grande amore potrebbe prosciugarsi, per motivi che vedrete: l’ossessione diventa il motivo trainante, se anche l’amore, che per un po’ si è sperato diventasse il salvagente dell’esistenza, si estingue come niente fosse.
I motivi sono disparati ed Androvandi scrive una frase che mi ha sedotto: “ E’ come se la morte ci trasformasse in proiezioni nella mente degli altri. All’inizio limpide e fresche, poi sempre più flebili, finchè diventiamo solo un’immagine sbiadita del passato, un ricordo lontano”
Bello, no? Profondo. Da Pensatore. Questo giovane autore, che è anche un bravo drammaturgo e un ottimo sceneggiatore, mi ha davvero conquistato e ne consiglio caldamente la lettura. Ma soltanto alle persone pazienti, che amano pensare, pensare e ripensare che la vita è tutta qui.
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