E’ cosa buona e giusta aspettare la fine di un romanzo per darne un giudizio. Talvolta non lo facciamo e liquidiamo un libro al primo ostacolo. Ne “ Il rospo e la badessa” di Roberto Tiraboschi infatti, se avessi dovuto scriverne a metà non sarei stata troppo indulgente, dato che per migliaia di volte il termine “puzza” con tutti i suoi sinonimi avevano intriso il mio studio e, con un ignoto processo fisico/chimico mi aveva causato una specie di materializzazione da indurmi ad aprire la finestra.
Ma certo, siamo all’apparire della prima peste di mille anni fa e il disagio è evidente, qui non si lotta tra vax e no vax, qui si muore e basta. Nel 1172 Venezia era uno sterminato spazio di paludi, stagni, fanghi e putride acque. Proprio in quel tempo, nell’ aspra battaglia elettorale che si apre per l’elezione di un nuovo doge, (così simile alle elezioni odierne di tutto il mondo) nasce la prima idea di creare un grande “ campo” davanti alla basilica di San Marco, costruire il campanile, colonne e Procuratie.
Ho ascoltato religiosamente l’intervista di Tiraboschi (che è anche un bel fieu) e sembra conoscere le cose di cui parla. Laureato in lettere e filosofia, diplomato alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, comincia a scrivere per il teatro e nel 1982 vince il Premio Riccione con il dramma “La madre rovesciata”. Nel 1989 scrive il suo primo lungometraggio con Silvio Soldini, “L’aria serena dell’ovest”, che segna l’inizio della sua carriera di sceneggiatore. Dunque una carriera tutta in ascesa, meritatamente. Nel ragazzino bergamasco che passa le sue vacanze al Lido si insinua molto presto l’idea di andare a scoprire la storia antichissima di Venezia e ne nascerà una bella quadrilogia.
Cercando di sintetizzare al massimo la trama del libro ( impresa non facile ), qui si narra in maniera assai specifica delle terribili condizioni di Venezia dopo la sconfitta della battaglia di Costantinopoli e dell’eccidio della peste, alternando piuttosto bene uno stile aulico con il linguaggio del popolo, la povertà delle catapecchie con la ricchezza dei palazzi signorili. Si sente palpabilmente il divario fra ricchissimi e poverissimi, fra colti e incolti, ma soprattutto il divario fra uomini e donne.
È infatti con piacevole stupore che la giovane e bellissima badessa Sicara assume le vesti di protagonista, che fa da contraltare al gruppo dei politici per l’elezione del nuovo doge. L’atmosfera è naturalmente dominata dai maneggi della Chiesa e dall’attribuzione di ogni male all’opera del demonio, incarnato nel romanzo dal rospo, che nella simbologia sacra è la causa di ogni male.
La morte misteriosa di una novizia apre la parte più noir del romanzo e guida i passi di Sicara: troviamo inaspettatamente poi una parentesi di sesso hard, fra la badessa e la sua monaca assistente ( mi chiedo come faccia un uomo a conoscere nei dettagli più intimi ed emotivi le modalità d’amore fra due donne, ma forse sarà un seguace di Youporn).
Sicara ama, riamata, Brasca e come vada a finire non ve lo dico. Di certo però la brava detective, anche se non potrà soddisfare le esigenze del suo corpo barra cuore, saprà svelare l’arcano e trovare il bandolo della matassa, mentre non mancano mai dettagli purulenti sino all’ultima scena. Ma forse l’autore ha voluto calcare la mano per farci capire sino in fondo l’habitat del Medioevo. Un escamotage come un altro. In conclusione, un libro che si lascia leggere.
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